02/07/2021
1227° VENERDI su Gianfranco Draghi

Vittorio Lingiardi - «Sono rimasto stordito per tre o quattro giorni, pur facendo le cose necessarie, poi ho deciso che non volevo bruciare con le mie opere e la casa». Opere e casa sono quelle di Gianfranco Draghi e della moglie Giancarla Innocenti. Il 29 gennaio 2009 buona parte della loro dimora fiesolana va in fiamme, decretando la perdita degli oggetti di una vita: libri, lettere, disegni, annate di quaderni d'appunti. È raro che un'esperienza traumatica si trasformi così a breve in esperienza creativa: lo stesso rogo che ha bruciato il passato ha acceso il desiderio di Draghi di raccontarlo, trasformando la cenere in parole scritte, anzi dettate, poiché la vista era ormai debole.

Dal rogo è il risultato di questa dettatura, avvenuta a cavallo tra il 2009 e il 2010: un'autobiografia lieve, un canto alla vita intesa come abitare e conoscere, una storia di case e persone: amici, amori, maestri, animali. Draghi, che morirà nel 2014, ben prima che questo libro nascesse, è stato molte cose. Lo ricordo soprattutto come terapeuta junghiano, allievo di Ernst Bernhard (che a sua volta fu l'analista di Fellini), dunque poco ortodosso. La sua vita piena di incontri inizia a Bologna nel 1924, poi la laurea a Firenze con Garin, l'incontro con Croce, l'attività antifascista che lo obbliga a riparare in Svizzera, l'adesione al Partito d'Azione e al Movimento Federalista Europeo, vicinissimo a Spinelli e Bolis. In Italia fu il primo a scrivere di Simone Weil.Commuove pensare che fu amico del cuore di Cristina Campo, la poetessa che lo descrive come uno che «conosce sempre, sottilmente, il disegno del tempo, e trova la parola magica da incidervi» (bellissimo il volume adelphiano Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, curato da Margherita Pieracci Harwell). Tra i molti fecondi legami, mi piace ricordare, perché li ci siamo incontrati, quello con la famiglia Peregalli: l'antico amico Alessandro, psicoterapeuta e poeta, e il più giovane figlio Roberto, inventore di case e di libri abitati d'inconscio.

Dal Rogo è il racconto di un processo d'individuazione mite che si compie nel dialogo e nell'ascolto. Leggendolo, presi dalla morbidezza domestica dell'evocazione autobiografica, ci ritroviamo, senza accorgercene, testimoni di tutto il Novecento. Ma la bellezza segreta di questo libro è nell'umanità di chi l'ha scritto, nella trama affettiva che ha sostenuto la vita di Draghi e che pagina dopo pagina si disegna sotto i nostri occhi come un mandala. 



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