17/10/2012
405° REPUBBLICA.IT su Ilaria Palomba

Flavia Piccinni - Si chiama “Fatti male”. In copertina c’è una ragazza nuda, che si copre il seno. La ragazza ha i capelli scuri e gli occhi chiusi, sorride; si morde le labbra. È un disegno leggero, dipinto come un acquerello che sfuma nella facciata di una chiesa romanica, che assomiglia tanto a San Nicola. È questa la copertina del libro d’esordio della barese Ilaria Palomba – laureata in filosofia, classe 1987 – che l’editore capitolino Gaffi pubblica adesso (pp. 347, €14,90). Ed è un libro intenso, violento, perverso (se qualcosa la perversione potesse indicare ancora), rigonfio di sesso, di droga, di emozioni e di domande. Un buco nero di emozioni, di prospettive e di giochi di specchi: tutto riflette altra luce, ma è impossibile arrivare all’origine della fonte luminosa. Le domande che si pone – o forse è meglio dire evita – Stella, giovanissima studentessa di filosofia che si muove in una Bari notturna, chimica e disinibita, sono assordanti. Le risposte spesso non esistono, spesso non hanno importanza perché non è facile diventare giovani donne a Bari, fra una birra finita e una pasticca ingoiata.

Perché “Fatti Male”? Fatti male è un monito che Marco rivolge a Stella per averla completamente ai suoi piedi. Fatti male è una generazione venuta su male, il cui dio è il nulla. Fatti male sono dei ragazzi sbandati che si fanno per non pensare a niente e questo continuare a farsi, botta su botta, prima o poi ti prende male.

Stella è una ragazza spezzata. Una broken barbie che richiama in modo violento un’altra broken barbie, un’altra Stella, protagonista dell’esordio di Alessandra Amitrano. E’ una semplice coincidenza? Non conoscevo Alessandra Amitrano prima che me ne parlassi tu, leggiucchiando qui e là mi sembra che le nostre Stella in comune abbiano solo il nome. Più che una broken barbie la mia Stella è una bambola assassina post punk. La crudeltà, il cinismo, il crimine sono gli unici strumenti che impara a usare per difendersi dagli attacchi dell’ambiente che la circonda.

Leggendo la tua biografia, e la storia di Stella sembra che qualcosa in comune ci sia. Quanto c’è di veramente autobiografico? Ci sono dei luoghi, certi casolari, certi ruderi, certe campagne… I viaggi on the road e qualche personaggio, anche se i personaggi non sono mai una sola persona, spesso sono l’insieme di più persone, altre volte sono completamente inventati, quindi completamente me.

Il sesso e la droga sono due strumenti che servono a colmare la disperazione, il vuoto. Che servono a riconoscersi. Pensi che siano questi gli strumenti più comuni? I più semplici? Il sesso è una cosa bellissima ma ci sono ancora molti tabù, la perversione nasce dai tabù, dalle proibizioni. In fondo Marco è un falso libero, vive in un piccolo paese e si crea un personaggio di uomo libero, frequentatore di rave party, centri sociali, ragazze lesbiche… ma poi in realtà è il classico uomo per cui le donne si dividono in sante e puttane e tutti i suoi problemi nascono da questo, forse anche la sua cattiveria e il suo sadismo sgorgano da un innato e inconscio moralismo, pretesa di sapere cosa sia il bene e cosa il male. Di droghe oggi ne abbiamo tante: televisione, psicofarmaci, chat, marche, e chi più ne ha più ne metta. Credo che ciascuno ne abbia una tutta sua, ci si inviperisce contro ciò che è illegale e questo fa comodo soprattutto a chi dirige certi giochi, un capro espiatorio serve sempre, così si può continuare a drogare il mondo poco per volta senza che nessuno se ne accorga, tanto per sfogarsi ci sono i mostri, no?

E tu che strumenti hai usato per avvicinarti a te stessa? La scrittura.

Pensi che la storia di Stella sia comune o semplicemente un caso isolato? Stella è la vendetta di ogni donna usata, sfruttata, imbrogliata.

Che riferimenti letterari, musicali e cinematografici hai? Le prime letture che ho fatto al liceo sono state Kerouac, Burroughs, i beat insomma, quel genere di scrittura mi entusiasmava parecchio. Poi all’università mi sono appassionata a Milan Kundera, tempo fa a Palahniuk, lo scorso anno a De Sade e Pasolini e ora sto leggendo Camus, tutto ciò che leggo mi determina come essere umano, quando scrivo però cerco di non avere riferimenti letterari, solo un intreccio e dei personaggi. Film che mi hanno lasciata a bocca aperta sono “Ultimo tango a Parigi”, “Requiem for a dream” e “Trainspotting”. Come musica, ce n’è tanta, mentre scrivevo “Fatti male” ascoltavo soprattutto i Portishead oppure tekno pesante tipo i Narkotek o i Sickest Squad… ma a volte anche Beethoven.

Quanto credi che nascere e crescere a Bari abbia influenzato la tua scrittura e la nascita di questo libro? Molto. Anche se è una Bari diversa da quella descritta da Carofiglio o da Piva. È una Bari globalizzata ma anche underground, universitaria ma anche tribale. Vivere in certe realtà mi ha portato a scrivere questo libro non da intellettuale distaccata, né da giornalista, questo non significa che io sia Stella o che “Fatti male” sia un’autobiografia, no, è uno sguardo su un certo ambiente ma uno sguardo interno.

Come sei arrivata alla pubblicazione? Enrico Valenzi e Paolo Restuccia della Scuola Omero hanno letto “Fatti male” per primi e l’hanno inviato ad Andrea Carraro, convinti che lo scrittore del “Branco” avrebbe apprezzato. Lui lavorava per la Gaffi come consulente editoriale, ha letto il mio libro in un giorno e poi mi ha chiamata dicendomi che voleva pubblicarlo quanto prima. È successo lo scorso ottobre, vivevo a Parigi e dopo questa telefonata ho deciso di tornare in Italia. Andrea Carraro ha presentato Fatti male lo scorso 9 ottobre insieme ad Angela Scarparo in Casa delle Letterature a Roma. Lui ha creduto e crede tantissimo in questo libro. 

Hai lasciato la Puglia… Vivo a Roma adesso e credo che resterò qui. In Puglia però ci torno spesso, è bello tornarci, sembra di rivivere il passato, viverci però no, mi sentivo in gabbia.

Il tuo libro è ambientato a Bari, ma potrebbe essere stato ambientato da qualsiasi altra parte. Che importanza hanno per te i luoghi? Semplicemente Bari ha le stesse periferie e le stesse problematiche di altri luoghi, la differenza tra l’underground romano e quello barese è che a Roma le controculture sono molto differenziate tra loro: difficilmente troverai un gotico in un rave o viceversa, però questo è anche un po’ triste, sembra che ci sia una sorta di incasellamento anche per chi si sente fuori dagli schemi. A Bari invece da una parte c’è più commistione, il che è positivo, dall’altra però c’è anche meno rispetto: quante volte si sente di ragazzi fermati e malmenati solo perché avevano capigliature appariscenti o piercing o borchie? Questi episodi di violenza spesso non hanno alcuna rivendicazione politica, lo si fa perché: quello è strano e qui non ci deve stare, punto. I luoghi in "Fatti male" però sono importanti, tanto che ho dovuto cambiare i nomi di alcuni paesi per non essere irrispettosa.underground romano e quello barese